Francesco Curto - acrese di nascita, perugino d’adozione - è un poeta assai noto nel panorama nazionale. Della sua opera si sono occupati critici e intellettuali di spessore; è presente in numerose antologie poetiche. Per i motivi appena addotti, non nascondo un certo imbarazzo nell’approcciarmi a scrivere qualche considerazione su di Lui e sulla sua ultima raccolta, “Il vento del Mucone” - Morlacchi Editore 2016, con traduzione in inglese e prefazione a cura della Prof.ssa Annalisa Saccà.
Nella poesia di Curto aleggia un sentimento di nostalgia, misto a rimpianto per un impossibile ritorno. Lo stridore tra ciò che è e ciò che sarebbe potuto essere determina uno stato d’animo altalenante tra rimpianto, nostalgia, amore, dolore, non infrequentemente indotti dalla rievocazione di un mondo arcaico, rurale. Curto, con i suoi ricordi, si trascina tutto un mondo con il suo pesante fardello. In primo piano si stagliano gli affetti familiari e, nel mentre vengono rievocati, un fumo aspro appanna gli occhi e li fa lacrimare: un groppo in gola assale il lettore per l’appalesarsi di sensazioni mai lineari ma, spesso, contorte e deformate da contingenze drammatiche della quotidianità. Ecco, quindi, che violenze, incomprensioni, silenzi, finiscono per rendere amaro il ricordo e insopportabile l’assenza di chi si vorrebbe oggi di fronte per manifestargli sentimenti e amore profondo. La nostalgia è qualcosa che gli esseri umani condividono, non elemento di divisione. Come l’Eros nella concezione platonica, la nostalgia per Curto diviene forza motrice della condizione umana.
Medici, poeti e filosofi non sono riusciti a individuare la sede precisa della nostalgia, si sono concentrati piuttosto sulla ricerca della stessa. Ecco, quindi, che il linguaggio poetico diventa lo strumento migliore per un viaggio metaforico nell’intimo umano, che funga da rimedio omeopatico per la nostalgia umana e, al tempo stesso, agisca come mezzo di compassione sul corpo dolorante, senza tuttavia compromettere la lucidità del ricordo. Non un oppiode, dunque, che finisca per indurre un effetto allucinatorio ma lucido mezzo di rievocazione e rivitalizzazione.
La nostalgia è stata definita come una lacrima che scivola lentamente e si trasforma in sorriso: in quest’ottica, i versi dell’amico Franco Curto hanno il pregio di farci guardare indietro per stabilire un legame indissolubile e salutare con il nostro passato. Il vento del Mucone si trasforma in un magico zefiro da cui l’anima, stanca, si lascia trasportare alla ricerca di un vissuto che sia al tempo stesso catartico e trofico per il nostro io più profondo. Le nostre radici, gli affetti più sacri, finiscono per dare un significato più pieno alla nostra vita. Nulla è eterno in questo mondo, sembra sottolineare Curto con i suoi versi. Da qui l’esigenza di recupero di valori e sentimenti per sopportare un presente sempre più opprimente.
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