Le polemiche sul Maca hanno avuto, se non altro, il grande merito di aver stimolato un interessante dibattito intorno alle sue prospettive e, più in generale, sulla cultura nella nostra comunità.
Questo probabilmente non sarebbe accaduto se al suo indirizzo l'assessore comunale alla Cultura, Prof.ssa Paola Capalbo, non avesse lanciato strali polemici particolarmente acuminati.
In sintesi, al Maca verrebbero contestati una gestione privatistica della struttura e la mancanza di ricadute, in termini di flussi turistici e indotto, sul tessuto economico della città.
I toni urbani con cui finora si è sviluppato il dibattito intorno al museo sono indice di una maturità che permette di esprimere con franchezza anche posizioni che possono essere antitetiche, le une rispetto alle altre.
E' la stessa franchezza che mi spinge a dire che sul Maca l'amministrazione comunale ha preso una solenne cantonata.
Innanzitutto i toni: ci sono molteplici modi per esprimere un concetto e quasi sempre la forma diventa sostanza.
C'è tuttavia anche una questione di opportunità, che in questo caso diventa di volontà, come quando gli amministratori dicono che con le nuove norme sull'istituto dell'incompatibilità non possono far parte del Comitato di gestione del museo.
E' vero, ma non è detto che il Comune debba necessariamente farsi rappresentare da un assessore o da un consigliere, basterebbe scegliere un esterno e il problema sarebbe risolto. Si è preferito un atteggiamento diverso e diverse sono le conseguenze.
Per quanto riguarda le ricadute economiche, penso sia opportuno innanzitutto intendersi su ciò che significhi fare cultura.
Concordo con Angelo Sposato quando dice che la cultura necessita di investimenti e guadagni. Da sapienti politiche culturali è possibile ottenere ricavi non indifferenti.
In sette anni e mezzo, escluse scolaresche e inaugurazioni delle mostre, il Maca ha registrato circa 107 mila visitatori.
Non saranno tutti ospiti provenienti da fuori, ma una buona percentuale certamente lo è.
Ora, di queste decine di migliaia di potenziali turisti non c'è traccia.
Se è così, la responsabilità può essere ascritta al Maca? Oppure al Maca va attribuito il merito di aver creato un flusso di considerevoli dimensioni, che la città è stata incapace di sfruttare?
Cosa ha impedito agli imprenditori e alle aziende locali di realizzare dei pacchetti di servizi tali da trattenere questa gente sul territorio, creando benessere e ponendo le basi per alimentare ulteriormente un flusso turistico che cresce semplicemente se chi si è trovato bene si fa esso stesso testimonial della città?
Inoltre, perché il Comune in questi anni non si è fatto carico di realizzare un coordinamento tra i diversi segmenti dell'offerta turistica?
Eppure l'Eurispes, nel terzo rapporto sulle eccellenze in Italia, ha inserito il Maca nell'elenco delle cento esperienze istituzionali e imprenditoriali di successo in Italia. Insomma, se la ricaduta non c'è stata l'assessore Capalbo si rivolga altrove per individuare responsabilità.
Risultano, poi, a mio avviso, sterili, per non dire pretestuose, anche le accuse di non aver favorito il talento artistico locale.
La rassegna Young at Art ha portato un gruppo di ragazzi under 35 calabresi a confrontarsi con realtà quali quelle connesse alla Biennale di Venezia, solo per citare una vetrina di straordinarie possibilità. Ma altri esempi potrebbero essere citati.
Poi se si vuole discutere sulla gestione del Maca, su cosa possa e debba essere modificato in regolamenti e statuto o sulla opportunità o meno di introdurre il biglietto d'ingresso, non c'è bisogno di presentarsi al museo e requisire il registratore di cassa.
Se il confronto è fatto con animo scevro da preconcetti e portando argomentazioni oggettivamente valide non può che portare benefici. Se lo si fa in maniera capziosa, aleggia lo spettro del pregiudizio.
Ecco, ho ritenuto opportuno dire la mia sul Maca, soffermandomi unicamente sugli aspetti "utilitaristici" del museo. Se poi vogliamo mettere in discussione anche l'offerta artistica, che ha avuto il grande merito di portare ad Acri alcune delle esperienze più significative dell'arte contemporanea, ho l'impressione che si voglia dar corso a un fumus persecutionis che potrà solo avere effetti deleteri per la nostra comunità.
Mi piacerebbe dire qualcosa anche a proposito della opportunità di portare ad Acri firme di richiamo e pagarle per partecipare agli eventi, ma anche qui il ragionamento è articolato e preferirei farlo in un contesto diverso.
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