Quello che si è consumato venerdì si avvicina molto a un tradimento. Lo sarebbe se il tradimento fosse una categoria che appartiene alla politica. Anche nel suo linguaggio il termine viene bandito, proprio perché questo è un atteggiamento che tutti respingono, preferendo limitarlo nel recinto dell'etica.
Ma se per un attimo, magari chiudendo gli occhi, pensassimo che anche in politica si può tradire, Cosimo Fabbricatore l'avrebbe fatto.
Non è una questione di merito, dei motivi che lo hanno indotto a dimettersi con i consiglieri di opposizione, ma di metodo. Fino allo scorso 26 gennaio, giorno dell'ultimo consiglio comunale, Fabbricatore ha votato tutti i provvedimenti della maggioranza, quindi li ha condivisi. Gli è davvero difficile ora motivare il suo gesto e farlo rientrare in una logica politica.
Viteritti e Cavallotti hanno abbandonato la maggioranza dopo una serie di strappi e dopo non aver votato documenti importanti, come il bilancio. Il loro passaggio all'opposizione ha una coerenza cristallina.
Ma Cosimo Fabbricatore non solo non si è dissociato su atti concreti, ma ha deciso di dimettersi con le opposizioni. Avrebbe potuto farlo individualmente, attivando l'istituto della surroga. Invece ha voluto dare al suo gesto un carattere apocalittico.
Non importa se sia giusto o meno che Tenuta sia stato disarcionato, ma il modo in cui è avvenuto non è tra gli atteggiamenti più nobili dell'animo umano.
E poi c'è anche una questione di tempistica, perché ci vuole una buona dose di “sbadataggine” nel non mettere in relazione le dimissioni a due eventi ravvicinati: l'avvicendamento alla presidenza del consiglio comunale e il mancato appoggio dell'intera maggioranza alle elezioni Provinciali. Ora si consegna la città ad altri tre commissari, che vanno ad aggiungersi all'organo di liquidazione innescato dal dissesto. Per me è un atto irresponsabile e mi assumo la piena responsabilità dell'affermazione. Se non si stabilisce una relazione netta tra un'azione e il suo significato, la politica non è più quella pratica nobile della polis, ma diventa altra cosa.
Detto questo e deprecato il modo in cui è stato liquidato, Nicola Tenuta non può pensare solo di essere stato tradito, ma deve anche serenamente riflettere su alcuni gravi errori commessi nella gestione di fasi cruciali della sua esperienza. Probabilmente avrebbe dovuto assumere un atteggiamento diverso sul ricorso per la Tares del 2013, così come sarebbe stato più salomonico un approccio comprensivo nei confronti della Laca, che non è un covo di evasori, ma un'associazione che ha posto questioni alle quali non sono state date risposte convincenti. Poi, il Mab. La vicenda, al di là delle deteminazioni, è stata gestita con una superficialità disarmante, al punto da perdere uno dei più validi collaboratori del sindaco, il suo vice Salvatore Ferraro.
La questione legalità. Il sindaco e la sua maggioranza ne hanno fatto una bandiera, fin da quando hanno sollevato le incompatibilità, vere o presunte, di tre consiglieri di opposizione. Ma la legalità è un abito mentale, non un interruttore che si accende al bisogno. La medesima solerzia delle incompatibilità si è trasformata in un imbarazzante e assordante silenzio quando Angelo Milordo si è fatto beccare con la fotocamera del cellulare nella cabina elettorale. Negli ambienti della maggioranza lo si è definito un pollo o semplicemente sfortunato, perché “lo fanno tutti”. Non è così: abbiamo il dovere di mantenere il candore necessario per dire che queste cose non si fanno e vanno duramente condannate.
Tanti altri esempi potrebbero essere fatti, ma mi fermo qui. Se finisse così, per Nicola Tenuta sarebbe una sentenza di condanna, perché lascerebbe da sconfitto.
Se è convinto della bontà di quanto fatto in questi quattro anni, si ricandidi e si faccia giudicare dagli elettori.
Un chiosa per chiudere. E' vero la politica ci ha abituati a tutto, ma certe scene di giubilo dopo le dimissioni fanno ribrezzo, perché in alcuni casi servono solo ad attivare mosche cocchiere, apprendisti stregoni e opportunisti di ogni risma. Per carità, chi da sempre ha aspettato questo momento, magari se lo vuole godere, ma non tutti fino a ieri erano usciti allo scoperto. E' proprio vero che se ci fosse la disciplina olimpica del salto sul carro del vincitore, noi italiani probabilmente saremmo su tutti e tre i gradini del podio.
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