Ieri ci ha lasciati Mario Gattabria. Lo ha fatto nel giorno in cui ventotto anni prima perse la vita Giovanni Falcone e per chi ha speso la sua battendosi per la giustizia sociale è una data dalle forti suggestioni simboliche.
Mario era un uomo perbene. Soprattutto era un Uomo. Che, come ognuno di noi, ha commesso i suoi sbagli, ma ne ha sempre pagato il conto in prima persona. Non è mai stato sfiorato dal benché minimo sospetto che facesse politica per un tornaconto personale ed è stato esempio di pulizia morale.
In un contesto storico e sociale in cui Acri era un profluvio di bandiere rosse, era un camerata e non un compagno. Essere di destra in quegli anni significava crederci per davvero in certi valori, perché mettevi a repentaglio la sicurezza tua e della tua famiglia, per non parlare della professione.
Altri tempi, in cui la politica era espressione autentica di passione, di idealità, fatta di uomini e non di comparse. Più che ad Almirante, la sua visione di destra si avvicinava a quella di Pino Rauti, che professava il cosiddetto sfondamento a sinistra. Era una destra sociale, in cui non mancavano le contaminazioni ideologiche e un terreno comune con la sinistra. Ecco perché se lo si inserisce nel contesto storico e politico di quegli anni non può apparire poi così peregrino che destra e sinistra sul terreno sociale potessero addirittura confondersi e le strade del Movimento Sociale e del Partito Comunista Italiano incontrarsi, come avvenne nell’esperienza di Mario Gattabria. Un folgorazione che tuttavia durò lo spazio di un mattino. Casa sua era la destra.
Nel contesto locale non si contano le battaglie di civiltà che Mario ha ingaggiato. Non tutte le ha vinte, ma tutte le ha combattute col cuore. Talvolta le avvolgeva di un furore donchisciottesco, ma non per questo meno nobili.
Il corso berlusconiano della destra lo viveva con sofferenza, me lo ha confessato in più di un’occasione, ma mai l’avrebbe ammesso in pubblico. Dopo una tiepida adesione ad Alleanza Nazionale, divenne responsabile cittadino della Fiamma Tricolore. Da questa postazione ha continuato le sue battaglie, alluvionando le Procure, gli assessorati regionali, finanche il Presidente della Repubblica, di esposti e appelli. Quasi sempre riceveva risposta.
Nell’epoca dei messaggi vocali, preferiva la macchina de scrivere, sebbene di recente fosse diventato sempre più difficile trovare il nastro. Fino a un paio di anni fa le sue visite in radio per portarmi l’ennesimo comunicato erano frequenti.
Un giorno gli chiesi di potergli scattare una foto da utilizzare per il giornale e scherzando mi disse che stavo preparando il suo coccodrillo. Ovviamente non era vero.
Il nostro è sempre stato un rapporto di stima reciproca e mi riconosceva la costanza nel garantire sul giornale lo spazio necessario a far conoscere il suo impegno politico e sociale. Un giorno, a mia insaputa, scrisse al mio direttore, per esprimergli la sua ammirazione per la mia correttezza professionale. Il giornale di lettere ne ha ricevute anche dall’altra parte politica, ma per dire l’esatto contrario.
La sua ultima battaglia fu a favore del taglio dei platani sulle vie Salvatore Scervini e Raffaele Capalbo, dove è poi sorta la pista ciclabile e pedonale. Era il 2016.
Mario abitava lì, con la sua famiglia. Durante la mia quotidiana sgambata mi aspettava per dirmi che stava ultimando il lavoro di archiviazione delle sue migliaia di foto e che me lo avrebbe mostrato appena avesse finito. Purtroppo non ce n’è stato il tempo, ma sarebbe un peccato disperdere questo lavoro di testimonianza storica.
Mi mancherà Mario. Ci sono persone che quando vanno via lasciano uno spazio, lui ha lasciato un vuoto. Un onore esserti stato amico.
Piero Cirino
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