Ho letto in questi giorni la nuova fatica letteraria del prof. V. Rizzuto, amico e insigne Maestro di Lettere e di vita.
Il libro– “Viaggio nel tempo immobile”, edito da EdiBios, Genn. 2017, pp. 195 – è corredato da un’interessante e penetrante introduzione del Prof. Mario Bozzo.
Si tratta di una serie di racconti, solo apparentemente separati l’uno dall’altro ma che, in realtà, sono sorretti da un unico filo conduttore e convergono alla definizione di un quadro policromatico nel quale le varie tessere contribuiscono a dare al lettore un’immagine d’insieme, armonica e spietata nelle sue amare conclusioni.
Chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscere il Prof nelle varie espressioni della sua multiforme e poliedrica personalità riesce agevolmente ad apprezzare il senso dei suoi racconti, a coglierne il significato più pieno. Si tratta, a mio modesto avviso, di uno dei libri più rappresentativi dell’indole di Rizzuto, con il suo irresistibile blend d’illuminismo tenebroso e pessimismo intriso di ironia tragica. Disteso nell’arco di svariati decenni, il libro ripercorre, in maniera affascinante e accattivante, le amare vicende di una realtà, che non è solo quella di “Altopascio”, ma che potrebbe adattarsi a una qualsiasi area delle nostra terra. Il libro è pieno di analisi e riflessioni che sperimentato tutte le forme possibili del rapporto tra la mente e la realtà, in un’interrelazione dialettica, spesso conflittuale, tra ciò che è e ciò che si sarebbe voluto che fosse.
Emerge in ogni racconto un filo conduttore: l’amarezza di chi ha creduto e lottato fermamente in degli ideali, forse anche in un’utopia, e che vede oggi crollare un sistema che, facendo a meno di quegli ideali, si è concentrato a perseguire un realismo meschino, basato sulla ricerca del profitto personale e sullo sfruttamento di chi continuava a credere e a sperare in un mondo migliore. Così la vicenda di due ragazzi innamorati - che vedono il loro amore disgregarsi di fronte al cinismo di chi si sente più forte perché pieno di soldi - lascia il posto ad analisi e considerazioni sugli anni di tangentopoli, le stragi, la crasi e il dissolversi di ciò che l’autore vedeva e vede, giustamente, come indissolubile, ossia il binomio etica-politica. Il progetto di fondazione di una democrazia partecipata, di costruzione di un più forte senso dello Stato, di formazione di donne e uomini liberi, unici mezzi per spezzare la spirale arretratezza-subalternità-illegalità, fallisce per l’avvento di uomini politici senza scrupolo e senza cultura, che, arrivando a scalare le più alte vette del potere e della rappresentanza, hanno messo in atto un sistema perverso, basato sull’intreccio tra politica e malaffare. E quando le cose precipitano, a pagare sono, come sempre, i pesci piccoli (che vanno in galera), mentre gli onorevoli riescono a farla franca e prendono le distanze dai vecchi luogotenenti, troppo compromessi. Quasi per una sorta di contrappasso, alle mediocri figure appena citate l’autore oppone un capitolo dedicato alla vite all’opera di don Francesco Maria Greco, visto non già nella sua accezione agiografica ma nell’attualità e modernità della sua azione sociale e di contrasto a un clero corrotto.
I racconti si susseguono lasciando nel lettore la curiosità e la voglia di andare avanti per conoscere le fasi risolutive del narrato. Lo stile narrativo di Rizzuto è intriso, come già detto, d’ironia tragica che, a tratti, lascia armonicamente il posto e descrizioni del paesaggio, della campagna, dei luoghi di un tempo, che commuovono e affascinato per l’afflato che ne traspare. Bella e coinvolgente è anche l’appendice poetica finale, che ci consegna un aspetto di Rizzuto forse poco noto ma non meno apprezzabile.
Triste e ammonitore è il giudizio sulla classe politica degli ultimi vent’anni. Un’altalena di personaggi di scarso spessore si susseguono: alcuni incapaci, altri con un forte deficit strutturale del rachide, che li ha portati a un’eccessiva propensione al compromesso, altri eticamente torbidi. Il risultato è un progressivo allontanamento della gente, il trionfo del populismo.
Ma non è tutto: traspare nel libro l’amarezza del “vecchio” Preside, che vede la scuola distrutta da una serie di provvedimenti scellerati, che l’hanno vista unicamente sotto la logica del profitto e codificata in termini di “crediti” e “debiti”. E’ difficile non attuare un parallelismo, quasi automatico, con quanto va da anni affermando il Prof. Nuccio Ordine a proposito dell’”Utilità dell’inutile”.
L’irrefrenabile tendenza all’autodistruzione del genere umano sembra, a tratti, pervadere il libro. Doppiogiochisti, saltimbanchi, affaristi, si sono insinuati in ogni area, a destra come a sinistra, portando, oggi, a una triste omologazione delle forze politiche sotto il profilo etico e morale.
La politica, sembra dire il Prof. Rizzuto, non è nient’altro che una perversione se non si pone – come non si è posta recentemente – l’obiettivo del miglioramento delle condizioni, non solo materiali, del genere umano.
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