In questi ultimi giorni si è parlato spesso del cosiddetto “Ecodistretto”, altro non è che un impianto industriale, semi automatizzato per il trattamento delle differenti frazioni provenienti dalla raccolta differenziata.
Leggiamo che la Martino Associati dichiara che l’impianto ha “la pericolosità di un centro commerciale” e che quindi “non vi è nessun pericolo per la salute”. A noi, però, qualche dubbio rimane, visto che questo studio associato è parte in causa nella progettazione di questi impianti industriali, insieme a quello di Rossano – Bucita. Saremo prevenuti, ma crediamo che essa tenderà certamente ad esaltare i pregi ed a mitigare gli effetti negativi dei centri di raccolta e smistamento, come dire: “Ogne scarrafone è bell’a mamma soja!”.
Non basta mettere il prefisso “eco” per rendere un impianto “eco”compatibile, un po’ come avviene per i cosiddetti “termovalorizzatori”, che non sono altro che degli inceneritori che producono rifiuti altamente tossici e radioattivi. Queste operazioni di marketing sociale concepite da menti perverse le rispediamo al mittente.
Un siffatto impianto dovrà trattare, oltre che le frazioni differenziate, anche la frazione indifferenziata, con la produzione di scarto che finirà inevitabilmente in una discarica di prossimità, ovvero non troppo lontano dall’impianto.
E’ previsto anche un biodigestore, che potrà produrre miasmi e gas nocivi che andrebbero ad aggiungere puzza a quella prodotta dai sistemi di riciclaggio. Inoltre, il metano prodotto in eccesso, che è un gas serra molto più impattante dell’anidride carbonica, verrebbe bruciato e immesso nell’atmosfera.
Si avrà certamente un aumento dell’inquinamento acustico, atmosferico, per le decine di camion che trasportano il materiale da riciclare, che si avventureranno lungo la SS660 con tutti i disagi per gli automobilisti.
La domanda sorge spontanea: se l’impianto è così buono perché non viene realizzato dai comuni primi in graduatoria? Ognuno tragga le proprie conclusioni dal fatto che quasi tutti i comuni identificati dallo studio, abbiano espresso parere sfavorevole alla realizzazione di un cosiddetto “ecodistretto” sul proprio territorio. Pare che anche Castrovillari voglia ritirarsi.
Noi ad Acri che facciamo? In cambio di qualche royalties e di massimo 60 posti di lavoro (precari perché legati al rendimento dell’impianto ed al budget), gestiti da un’azienda privata, magari usati per piazzare qualche amico o parente, propendiamo per realizzare un impianto che dovrà accogliere la monnezza di tutta la provincia di Cosenza, e con ogni probabilità anche di parte delle altre province calabresi.
Nell’ottica della realizzazione della cosiddetta economia circolare è necessario realizzare impianti di riciclo orientati alla selezione dei materiali affiancati ad una raccolta differenziata spinta sul tutto il territorio regionale.
Al posto di un unico impianto per la provincia di Cosenza, per noi sarebbe più indicato avere diversi impianti, dimensionalmente più piccoli, collocati in zone baricentrali dei differenti comprensori della provincia di Cosenza: fascia ionica, tirrenica, area urbana di Cosenza e Pollino.
Ogni nuova attività che riguardi una comunità, che vada a modificare irrimediabilmente un territorio già fragile, come ad esempio quello acrese, la popolazione deve essere messa a conoscenza, attraverso una campagna informativa, sui rischi ad esso connessi in modo tale che i cittadini possano esprimersi liberamente per la sua realizzazione o meno. Chiediamo pertanto che venga indetta una assemblea pubblica per discutere questo tema.
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