Con questa pubblicazione magistralmente prefata da Pasquale Tuscano, Massimo Conocchia, apprezzato cardiochirurgo al nord, ma calabrese di nascita, come tanti corregionali che per farsi strada sono stati costretti a lasciare la terra dei padri ha sentito il bisogno di ripercorrere il proprio passato di concerto a quello della Calabria, "un Paese diviso e dalle mille contraddizioni", come ha acutamente sottotitolato.
Il motivo dell'iniziativa è rivelato in modo netto dallo stesso autore, che così dichiara: «Il senso vero del libro è quello di descrivere il mondo da cui provengo, partendo dall'analisi di un divario sociale abissale, cercando di riscoprire le ragioni dell'arretratezza di una terra bellissima, ma martoriata da una miriade di piaghe, nel determinismo delle quali hanno concorso e concorrono diversi ed eterogenei fattori, non tutti estrinseci».
La realtà paesana, che Conocchia propone con fresco linguaggio letterario e deciso piglio assimilabili a quelli dei tanti scrittori calabresi del Novecento, è quella di Acri tra la fine del ventennio fascista e i nostri giorni, ma potrebbe essere anche quella di parecchi altri centri abitati, così omogenei si rivelano costumanze ed eventi. Certo, non tutti hanno potuto giovarsi di narratori come Alvaro, Perri, Strati e appunto l'ultimo epigono, che hanno saputo scandagliare nel profondo, con ricchezza di immagini e di considerazioni, uomini e cose.
A proporsi in primo piano nell'odierna opera è sicuramente una storia individuale. Ma, nel mentre si tende a evidenziare gli sforzi personali e quelli della stessa famiglia alla ricerca di un modulo di vita accettabile, lo sfondo è rappresentato dal paese e dall'intera regione, che inseguono un progresso civile dopo le macerie della guerra e il crollo di vari miti. Purtroppo, non tutto alla fine va nel giusto verso e bisognerà assistere al naufragio di tanti ideali non sempre seguiti con convinzione o passione scevra da interessi. La scomparsa ai nostri giorni di correnti partitiche sorrette da precisi principi e lo scandalismo ricorrente, tra tant'altro, non sono certo forieri di grandi speranze per il futuro dei nostri figli.
Sono svariati i temi che il Conocchia espone, facendocene gustare contenuti e idee, ma alcuni decisamente s'impongono per la capacità di riflessione. Molto calzanti riescono infatti i riferimenti alla riforma agraria, in gran parte fallita e all'emigrazione nel continente americano. Interessante il capitolo su "Ellis Island", che mi ha fatto riandare alla lettura di recente fatta del bel libro di Mimmo Gangemi, che ha per titolo per l'appunto "La Signora di Ellis Island" e racconta le tristi vicende di un incessante viaggio delle plebi meridionali a inseguire il miraggio di una vita possibile. Molto significativi i modi di dire dialettali e i versi di poeti acresi sul tema, come pure le antiche immagini, che documentano quello che si configurava veramente come il cammino della speranza.
Il medico acrese, che ci offre con abilità e soprattutto sincerità e umiltà il suo percorso umano, dagli studi alla difficile e responsabile attività professionale, ma anche ai non riusciti tentativi di far politica attiva, ci propone altresì un giudizio inequivocabile dell'essere calabrese e una disamina puntuale della grave situazione sanitaria. Alla fine, nonostante i tanti dubbi e le tante operazioni sbagliate volutamente o no da una miope classe politica che non riesce a rinnovarsi al meglio, così conclude, se non con convinzione, almeno con speranza: «Dall'analisi impietosa dei fatti deve emergere, insieme alla denuncia, la ricerca spasmodica di una via d'uscita per il Sud./ Credo che – a prescindere dalle responsabilità politiche di chi ci ha governato, dal dopoguerra a oggi – una quota non irrilevante di responsabilità dello stato presente sia anche nostra come meridionali». A riguardo non si può certo dargli torto.
CALABRIA SCONOSCIUTA RIVISTA TRIMESTRALE DI CULTURA E TURISMO
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