Un mutuo di 45 milioni di vecchie lire, che oggi si è trasformato in un incubo da oltre 60mila euro. Questa cifra la signora C.A., 55 anni e un figlio di 20 a casa, proprio non è in grado di pagarla, anche perché al momento non lavora e non ha una fonte di reddito con la quale aiutarsi.
Il prossimo 26 aprile alla porta si presenterà l’ufficiale giudiziario, eventualmente accompagnato dalla forza pubblica, per sgomberare la casa di proprietà di C.A., che da quel giorno non avrà, così come non l’avrà suo figlio, un tetto sulla testa e un letto in cui dormire.
“Non ho nient’altro che questa casa – spiega la donna -, vorrà dire che monterò una tenda in Piazza Sprovieri, sperando che qualcuno mi possa aiutare”.
L’appartamento in cui vive fu acquistato “grazie all’aiuto di mio padre. Per metterlo a posto contrassi un mutuo di 45 milioni di lire, cointestandolo al mio allora marito”.
Era il 2000 e due anni dopo i due si separeranno, lasciando sulle spalle di C.A. l’intero costo del mutuo. Erano anni in cui la crisi economica non era deflagrata in tutta la sua drammaticità sociale. “Riuscivo a lavorare, ma poi con l’avvento dell’euro fu tutto più difficile e non ci ho capito più niente”.
Fino al 2006 le rate sono state regolarmente e più o meno puntualmente pagate, dopo le difficoltà. Negli anni sono stati versati circa 17mila euro, ne mancherebbero una ventina. Tutto il resto è rappresentato dalle spese aggiuntive che nel corso degli anni si sono accumulate per i veri procedimenti giudiziari.
Mostrandoci le carte, ricorda come nel corso del tempo abbia avanzato una serie di proposte alla banca, tutte puntualmente rispedite al mittente. La casa è andata all’asta per ben tre volte e per ben tre volte l’asta è andata deserta. Si è partiti da una cifra di 83mila euro, fino a 56 mila dell’ultima.
L’ultima comunicazione del Tribunale di Cosenza, dello scorso 19 marzo, sa di beffa: “rilevato che la presenza del debitore (che vi abita con il figlio maggiorenne) nell’immobile pignorato, oltre a costituire un non trascurabile motivo di disaffezione per i probabili interessati alla vendita forzosa, anche tenuto conto della realtà territoriale consociativa della cittadina dove è ubicato il cespite, rappresenta un indice potenziale di allungamento dei tempi di definizione del procedimento”, per cui “si dispone la liberazione dell’immobile pignorato”. In altri termini, l’appartamento non è stato venduto, ma chi vi abita deve andare comunque via. Nelle pieghe di un’asettica storia di un prestito non restituito, c’è tutto il dramma di una donna che non sa dove andare e di un figlio ventenne costretto a rinunciare anche all’università, oltre che alla casa in cui ha sempre vissuto.
Da “Il Quotidiano del Sud” del 14-04-2018
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