Un intervento in day surgery di ernia ombelicale diventa un caso all’ospedale cittadino. Un uomo di 60 anni, C.S., è da settimane che cerca invano di uscirne, ma senza fortuna. Ieri è stato il figlio, F.S., in una lettera a spiegare quello che è accaduto.
“Nel mese di luglio – si legge nel testo -, le prime analisi di controllo per valutare la fattibilità dell’intervento e tutti gli eventuali rischi di un intervento comunque considerato “semplice””.
Dall’esito degli esami, “la decisione di operare nel mese di ottobre. Essendo, dunque, paziente che assume cardioaspirina, gli sono state prescritte delle punture di calciparina, un farmaco che viene impiego essenzialmente per la cura della profilassi e anche nei trattamenti che mirano a contrastare la patologia tromboembolica venosa ed anche arteriosa, e di conseguenza la sospensione della cardioaspirina”.
Quindi, “arrivati al 16 di ottobre, cioè a 24 ore dall’intervento, la prima anomalia: secondo gli anestesisti, le analisi del sangue effettuate da mio padre erano “troppo vecchie” e dunque da rifare”, quindi “annullamento dell’operazione”.
A distanza di qualche ora, “la decisione di effettuare d’urgenza le stesse analisi nella mattinata del 17 e procedere poi all’intervento a risultati acquisiti”.
A ricovero in day-surgery ed analisi effettuate, “i risultati consentivano l’intervento”. Purtroppo c’era “un solo anestesista in sala operatoria, e da ciò che ci è stato riferito dal personale medico presente nell’occasione, in casi del genere ne occorrono due”. Quindi “intervento rimandato di una settimana. Sette giorni di altre punture di “Calciparina” e sospensione della cardioaspirina”.
L’operazione era per ieri.
“L’arrivo in ospedale alle ore 7:00 – spiega ancora F.S. -, ricovero in day-surgery, ma anche in questo caso con immenso stupore, il rifiuto nel sottoporre mio padre all’intervento. Il tutto comunicatoci anche dal chirurgo che doveva operare, lo stesso con un pizzico di delusione comunicava che tale operazione non poteva essere effettuata in quanto uno degli anestesisti ha assegnato un “ASA 3” al paziente”. Si tratta di “una classificazione dello stato fisico del paziente sottoposto ad anestesia, in una scala di valori che va da 1 a 5. Un ASA 3, dunque, non è operabile nell’ospedale di Acri e, in questo caso, è emerso il buon senso dell’anestesista che non si è assunto le responsabilità”. Tuttavia, “appena 12 ore prima, nel colloquio avuto tra mio padre ed un anestesista (evidentemente diverso da quello che doveva effettuare l’anestesia durante l’intervento) l’ok a procedere all’operazione”.
F.S. si chiede e chiede “perché non è stato detto prima a mio padre che tale operazione non poteva essere effettuata ad Acri? Perché per due volte consecutive nell’arco di 7 giorni è stato programmato un intervento, effettuato un ricovero e poi a pochi minuti dall’operazione tutto è stato annullato? Perché il personale degli anestesisti che operano nel reparto di chirurgia hanno dei pareri contrastanti ed opposti sulla stessa patologia? Perché a mio padre sono state fatte fare per quindici giorni punture di Calciparina che poi non sono servite a niente ma magari potrebbero provocare altri fastidi?”.
Da “Il Quotidiano del Sud” del 25-10-2018
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