Acri. Questo è un esempio di un’imprenditoria fatta male e, di conseguenza, finita peggio, ovvero con un fallimento. Il tribunale di Cosenza, ufficio fallimenti, ha disposto la vendita senza incanto dell’intero complesso in cui veniva prodotta l’Acqua Sila. Dopo quindici anni esatti, cala il sipario su una realtà che avrebbe dovuto creare posti di lavoro e sviluppo per l’intero comprensorio. Per la verità, l’imprenditore cosentino, Emilio Cribari, aveva avuto intuito e, grazie anche a corposi finanziamenti, era riuscito a mettere in piedi un piccolo impero. Siamo a sud del centro, località Policaretto, a 1200 metri sul livello del mare, zona ricca di verde ma soprattutto di sorgenti. Cribari non ci aveva pensato un attimo. Zona salubre e tranquilla, settore in evoluzione e possibilità di essere l’unico stabilimento nella provincia di Cosenza. Una trentina i lavoratori, tra operai ed impiegati, turni anche notturni, e migliaia gli imbottigliamenti per servire tutta la regione. L’Acqua Sila, naturale e non, irrompeva sulle tavole dei calabresi ed in quasi tutti i supermercati grazie a qualità e ad una pubblicità invadente. Siamo nel 2000, Cribari, noto per i mocassini rossi-amaranto, per idee molto ambiziose e per una buona dose di spregiudicatezza, appassionato di calcio, diventa anche il numero uno della locale squadra che milita in serie D ma solo dopo qualche anno, decide di svendere il titolo ad un piccolo centro limitrofo davanti all’imbarazzo ed all’impotenza di amministratori e tifosi. Nel 2005, ovvero dopo i canonici cinque anni, comincia a stancarsi anche dell’acqua. Comincia la sottoproduzione e per gli operai si aprono le porte della cassa integrazione e del licenziamento. Quindi arriva il fallimento della società, la Fonti Policaretto della Sila . Ancora oggi molti lavoratori avanzano soldi e sperano che la vendita vada a buon fine per recuperare quanto dovuto. L’intera struttura, nel corso degli anni, ha subito atti di vandalismo e furti di materiale tecnologico, suppellettili e addirittura sanitari. Quello che è rimasto sarà messo in vendita il prossimo undici novembre alle 12. Si tratta di un complesso industriale costituito da più corpi di fabbrica, da cinque sorgenti per captazione verticale da pozzo per complessivi 19,30 litri al secondo e otto sorgenti per affioramento della piezometrica, di tre capannoni per imballaggi, stoccaggi e lavorazione delle bottiglie, per un totale di novemila metri quadri, di una cabina Enel di novanta metri quadri, di una centrale a vapore di settanta metri quadri. Il tutto per un valore stimato di quattro milioni. A ciò occorre aggiungere anche due appezzamenti di terreno con destinazione agricola e produttiva per un valore di un milione e mezzo e di una serie di macchinari ed attrezzature per un valore di ottanta mila euro. Alla fine, il valore complessivo del lotto unico è di seimilioni e centomila e l’eventuale offerta in aumento non potrà essere inferiore e duemila euro.
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